Wednesday 4 November 2020

A CACCIA DEL DIAVOLO: L'esposizione universale

 


Ciao lettrici e lettori! 
Siamo giunti alla fine del blog tour a tema Maniscalsco e oggi vi parlerò dell'Esposizione Universale di Chicago, citata nel libro, e più in particolare della sua architettura. Non vi mentirò, il mio cuoricino da architetto sta piangendo di gioia solo al pensiero. Ma prima, vi lascio il calendario con le altre tappe del tour, date un occhiata anche agli altri articoli e non ve ne pentirete!


Iniziamo dalle basi, l'esposizione universale, o meglio, La Fiera Colombiana di Chicago, viene inaugurata nel 1893 per celebrare i 400 anni dalla scoperta dell'America. Vede come protagonisti dell'iniziativa gli architetti e urbanisti Daniel Hudson BurnhamFrederick Law Olmsted. 
Essa segna particolarmente al panorama architettonico dell'epoca, di cui parleremo dopo, ma ha una notevole influenza anche sull'immagine della città di Chicago. Infatti il nome "Città Bianca", come tutt'ora la chiamiamo, viene proprio da questo particolare evento. Infatti tutti gli edifici costruiti per quella occasione, salvo qualche eccezione, presentavano uno stile classico ed erano interamente bianchi. Il nome deriva anche dal fatto che in quell'epoca o poco prima, era stata inventata la luce e quindi quest'ultima contribuiva ad illuminare e accentuare questa caratteristica degli edifici.


Come detto in precedenza, l'esposizione segna e influenza la storia dell'architettura contemporanea profondamente. All'interno di essa opera il famoso Louis Sullivan, che costruisce il Trasportation Building, citato anche nel famoso libro "The Devil in the White City" di Erik Larson, a cui si ispira anche la Maniscalco nel suo romanzo. 


A differenza delle altre costruzioni classiche, risulta completamente diverso, distinguendosi in particolare per la forma ed il colore. Spicca soprattutto il grande portale d'ingresso, ricorrente nelle architetture di Louis, ampiamente decorato e dal colore dorato, che potete vedere sotto in foto.


Sullivan è importante perché è stato il maestro di uno degli architetti più conosciuti di quell'epoca: stiamo parlando di Frank Lloyd Wright, di cui conoscerete quasi sicuramente la Casa sulla Cascata (Fallingwater) che tra l'altro, andando off-topic è la casa di Madame Curie, nel libro uscito per mondandori, Falce.


Wright durante il periodo dell'esposizione universale, lavora per Adler & Sullivan e ha modo di vedere e studiare il padiglione giapponese dello Ho-o-den. Quest'ultimo lo influenzerà per tutta la sua vita ed è possibile vederlo nelle sue architetture. Vi lascio qualche esempio!

Pianta del Padiglione
Martin House, si può notare la somiglianza con il padiglione giapponese perchè composta da più ambienti collegati fra loro e con funzioni diverse.

Comparazione fra una struttura del padiglione e la Robie House. Entrambe presentano la caratteristica di avere un ingresso che rappresenta quasi un filtro fra interno ed esterno (un diaframma fra i due ambienti).



Viene ripreso il grande spazio che separava il soffitto dall’architrave che veniva spesso utilizzato per inserire delle decorazioni. Wright lo considera quasi un prolungamento del soffitto che da un senso di familiarità (così come il soffitto molto basso) e utilizza questo elemento in numerose architetture. L’utilizzo più interessante lo troviamo sicuramente nella Robie House, in cui questo spazio viene utilizzato per inserirci l’illuminazione e i condotti di aereazione. 


Potrei parlarvi tutto il giorno di questo argomento, ma non voglio annoiarvi e per oggi mi fermo qui. Spero di avervi saputo intrattenere.

A presto, 
Erika.

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